Ho letto La lezione di Gustavo Zagrebelsky e devo condividere con voi almeno qualche passaggio. Favoloso!
L’etimologia della parola magia è illuminante: deriva dalla radice sancrita mag, che significata ingrandire, espandere, è la potenza che con le parole chiama in vita le cose.
Ecco un lista di cose di cui abbiamo bisogno per rendere la scuola più umana e meno performativa:
- chiamare i nostri alunni per nome (la potenza dell’appello, come dice D’Avenia)
- dare i nomi alle cose materiali e immateriali e insegnare ai nostri alunni a chiedere “cosa vuol dire?”
- aiutare i ragazzi ad esprimersi e intendere l’espressione altrui
- insegnare loro, con l’esempio, ad agire e non reagire
- smettere di lamentarci davanti a loro e di fare sermoni lunghi tutta l’ora di lezione
- smettere di usare paroloni facendo sfoggio d’erudizione ben consapevoli di averli persi (stupenda la spiegazione sulla parola secolarizzazione a pag. 25)
Si potrebbe dire che la scuola abbia bisogno di una parola pregna di senso piuttosto che di sproloqui. Parole declinabili secondo un uso proprio, traslato, improprio, simbolico, metaforico, allegorico…
Senza le parole anche le cose ci sfuggono
Il numero di parole che possediamo corrisponde – dice benissimo Zagrebelsky – al numero di cose cui possiamo conferire esistenza, che possiamo comprendere e fare nostre.
Chi non possiede alcuna parola è totalmente inerte e inerme. Esiste ma non vive.
E quante volte – dico io – ci capita che i nostri alunni non abbiamo in bocca le parole per dire non solo la lezione ma il loro stesso bisogno di esprimersi, la loro paura di non farcela, la loro rabbia perchè manca loro tutto: aggettivi, categorie finanche pensieri.
Senza le parole la conoscenza da strumento di libertà si trasforma in zavorra. E non parlo di chi è dislessico e la lettura è una strada in salita o disattento e fatica a concentrarsi e ascoltare il suono delle parole che creano senso. Parlo di tutti gli altri, disorientati, che vivono la scuola come un’oppressiva macchina perditempo, dove si parla di cose che non capiscono, che non ricordano e che non sanno collegare alle cose di cui si è parlato ieri. E a questi ragazzi noi diciamo: devi studiare di più!
Volare più basso
Zagrebelsky trova le parole che io non ho. Eccole: propongo una visione terra terra, agganciata all’esperienza, senza voli pindarici, sobria, attrattiva e rispettosa dell’autonomia tanto degli studenti quanto dei professori.
Voglio aggiungere: il professore umile, quello che non perde tempo ma sa fermarsi a perdere tempo, quello che fa apparire la lezione, fa luce sul sapere, fa venire alla luce curiosità. Quello che semplicemente sa ridere con loro, non di loro.
ps: ho sentito un prof dire dei suoi alunni che potrebbero partecipare alle paraolimpiadi di grammatica… e poi si è anche messo a ridere.