L’incontro tra tecnologia e scuola non è facile: hanno montato lavagne elettroniche nei corridoi delle scuole materne, hanno dato pc e tablet ad un po’ di istituti e poi?
La scuola si adegua velocemente e maldestramente all’arrivo della tecnologia partorendo una didattica 2.0 che poi non è in grado di governare. Questa nuova didattica gli sfugge di mano, data in pasto alle menti facilmente distraibili e altamente creative degli scolari. Come fare?
I media ed i loro sostenitori devono chiedersi se offrono realmente un contributo per la formazione o se sono al servizio di interessi particolari, economici e ideologici. Se sono risorse utili devono essere offerti a tutti: e qui tocchiamo l’annoso problema del digital divide. Devono anche chiedersi se sono al servizio della salute e dell’etica delle persone, prima ancora che del loro bisogno di conoscenza.
Perchè imparare con il tablet?
Bisogna distinguere l’Educazione con i media considerati come strumenti da utilizzare nei processi educativi generali, dall’ educazione ai media, comprensione critica dei
media intesi non solo come strumenti ma come linguaggio e cultura, dall’educazione per i media finalizzato alla formazione dei professionisti dei media.
Insomma, tablet e pc in classe devono dimostrare di poter essere qualcosa di più di un ammodernamento dei metodi didattici e convincerci di non essere un’occasione ludica travestita da nuovo strumento pedagogico.
Se i nostri figli devono giocare al computer che lo facciano a casa nel tempo libero piuttosto che a scuola quando c’è un professore pagato per insegnare… oppure che quell’insegnante ne sappia davvero di tecnologie e possa offrire un’esperienza formativa con i media.
Un nuovo gap generazionale
Se professori e genitori rimangono indietro rispetto alle competenze che bambini e ragazzi acquistano alla velocità della luce si crea un nuovo gap generazionale.
Serve qualcuno che sappia capire, interpretare e valutare la pervasività dei media nella vita dei giovani d’oggi, la loro influenza sui modelli di vita e di consumo e come i media possono alla lunga influire nei processi democratici e nella formazione o disinformazione del cittadino consapevole, critico e libero.
Il media educator dà strumenti agli adulti che non sapendo cosa fare lasciano i bambini sempre più liberi e soli di fronte ai media.
Il compito del media educator è alfabetizzare, aiutare le persone ad usare i mezzi con autonomia tecnica e formale ma fornire anche gli strumenti per sviluppare il senso critico e la capacità di essere cittadini attivi e democratici, utilizzando gli strumenti della semiotica per l’analisi dei testi.
Un ragazzo italiano vede mediamente tre ore al giorno la televisione, dedica altro tempo al computer, internet, videogiochi, ecc. per un totale di 4 ore e 15 minuti (rapporto CENSIS). Siamo sicuri che gli adulti di riferimento siano al corrente di come usa le tecnologie? (scusate se usoil congiuntivo credo di non poterne fare a meno)
Cosa serve ai ragazzi?
- devono poter essere attivi di fronte ai messaggi che ricevono, sapersi creare una mappa cognitiva, sapersi chiedere chi l’ha prodotto? a che scopo?
- devono poter conoscere e dominare il linguaggio dei media fatto di immagini, suoni, alert, emozioni, di una forma particolare di narrazione, del montaggio, ecc. e non rimanere irretito dall’aggressività del messaggio comunicativo.
- devono poter capire la filosofia che sta dietro ogni messaggio (commerciale, consumistico, politico, religioso) perchè i media non sono neutrali e neppure innocui.
Ed io cosa penso?
E tu, genitore o insegnante ti sei fatto un’opinione su questi argomenti? Ti sei chiesto se sei pronto per affrontare queste tematiche con i tuoi figli o alunni? Senti il bisogno di sostegno e formazione? Dimmi quello che pensi: io dal canto mio, proprio perchè lavoro nella comunicazione web ho idee abbastanza precise sui limiti di cui i miei figli hanno bisogno per imparare ad usare bene i media senza esserne travolti. Li sperimento tutti i giorni e non c’è giorno che non impari qualcosa.
Questo testo si ispira e è in parte liberamente tratto da un approfondimento sulla media education di mediaeducationmed.it